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Frasi sulla censura

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Frasi sulla censura di Daniele Luttazzi, Karl Kraus, Marcello Marchesi

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La censura manovra un apparato repressivo con la scusa dell'”osceno” senza dire cosa significhi.



La gente non deve pensare che tutto il male che l’uomo scatena, nel momento in cui si impone la censura, esso scompaia dall’uomo.




La censura è una buona cosa, poiché in tal modo ad ogni libro è garantito almeno un lettore attento.



L’assassinio è la forma estrema di censura.


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I libri sono per loro natura strumenti democratici e critici: sono molti, spesso si contraddicono, consentono di scegliere e di ragionare. Anche per questo sono sempre stati avversati dal pensiero teocratico, censurati, proibiti, non di rado bruciati sul rogo insieme ai loro autori.




Ogni biblioteca accoglie e rifiuta. Ogni biblioteca è per definizione il risultato di una scelta, ed è necessariamente limitata nel suo ambito. Ed ogni scelta ne esclude un’altra, quella non fatta. L’atto della lettura corre sempre parallelo a quello della censura.



Anche se la gente mi censura, dovrebbero farlo con il cappello in mano.



È la fiera dell’ipocrisia. La società contemporanea censura la morte e cela la vecchiaia con la cosmesi e la chirurgia estetica: come potrebbe, quest’ “homo metropolitanus” accettare la cruda realtà dell’uccisione e della macellazione del maiale, che per la religiosa società contadina rappresenta invece, grazie alle calorie del suino, il necessario sacrificio per la sopravvivenza degli umili?



Sono sempre stato per la censura […]. Ma a condizione che questa censura sia affidata a delle persone qualificate sia per la loro sicurezza di giudizio che per il loro tatto morale e resa efficiente nel concreto. […] Non parlo qui che della censura etica.



Una classe intera, la classe militare, gode di questo stato di oziosità obbligatoria e incensurabile, e in questo risiede l’attrattiva speciale del servizio militare.




Così era allora, negli anni sessanta, c’era una censura militante, addirittura con le forze di polizia, coi commissari.



Chi conosce la crudeltà nascosta dei rodei sa che quanto trasmesso alla televisione non è quello che accade veramente. In televisione non si vedono pungolatori elettrici né torcimenti della coda. Non si discute di cinghie strette ai fianchi e a che cosa servano. Questo è prevedibile, considerati gli sponsor commerciali e la necessità di presentare il rodeo come uno «spettacolo per tutta la famiglia». Ciò comporta la censura di morte e ferite.



La censura è sempre uno strumento politico, non è certo uno strumento intellettuale. Strumento intellettuale è la critica, che presuppone la conoscenza di ciò che si giudica e combatte. Criticare non è distruggere, ma ricondurre un oggetto al giusto posto nel processo degli oggetti. Censurare è distruggere, o almeno opporsi al processo del reale. C’è una censura italiana che non è invenzione di un partito politico ma che è naturale al costume stesso italiano. C’è il timore dell’autorità e del dogma, la sottomissione al canone e alla formula, che ci hanno fatto molto ossequienti. Tutto questo conduce dritti alla censura. Se non ci fosse la censura gli italiani se la farebbero da soli.



La censura in TV non esiste. Esiste bensì l’autocensura che ogni autore deve esercitare su se stesso nell’atto di stendere un testo per un così grande mezzo di diffusione. Se, per caso lo dimentica, il funzionario gentilmente si presta ad applicare lui questa autocensura ma sempre per conto dell’autore.




Nessuno può giustamente censurare o condannare un altro, perché veramente nessuno conosce perfettamente un altro.



[La satira politica] Si misura con le persone reali, insegue ideali e progetti collettivi per triturarli e irriderli, può infastidire e irritare, magari nei momenti di stanchezza, ma non saperla capire, buttarla fuori dal campo, addirittura censurarla è qualcosa di assurdo.



Autocensura c’è stata, ma non era nostra. Era quella degli iracheni che avevano giustamente paura. Noi anzi abbiamo raccontato come man mano questo muro di autocensura ha cominciato a sgretolarsi. Anche se, nel momento in cui qualcuno aveva voglia di dire delle cose, tu non potevi non porti il problema morale che quella persona stava correndo dei gravissimi rischi. Tutto il nostro materiale veniva passato al setaccio dalle autorità irachene. I giornalisti della carta stampata potevano proteggere le loro fonti. Ma quelli delle tv no.



Su chi erotiche cose dice o fa lo zio di Gellio tuonava e rituonava. Gellio sfuggì a ogni censura: inculando la moglie dello zio fece di lui la statua del Silenzio. Inculasse anche lo zio lo zio non fiaterebbe.


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Il male peggiore è – ed è un prodotto della censura – è l’autocensura.



Approfitta degli errori altrui, piuttosto che censurarli.



Gli artisti, soprattutto nella canzone popolare e nella musica leggera, si auto-censurano. Ne sono consapevoli, ma hanno tutti – quasi tutti – una paura fottuta di pestare i piedi al potente di turno. Ma ci sono delle eccezioni, ed io credo di rappresentarne una. Non ho paura di pestare i piedi a nessuno, anzi, se potessi ne azzopperei qualcuno.



La censura è un male necessario come lo stato. […] La censura, nei secoli odiosa, sarà per i secoli necessaria specialmente per uno spettacolo a vastissima diffusione popolare come quello cinematografico. Censura per la difesa dello stato, male inevitabile e dunque accettato, censura per la difesa dei confini morali che un aggiornato senso dell’etica ritiene opportuno non valicare.



Dicono che una frase, quando viene tagliata dalle forbici della censura, continui a vivere.



La censura italiana è stupida, ma non potremmo giurare che sia più stupida di altre censure in paesi non meno civili del nostro. Ma ci consoleremo solo per il fatto che la stupidità è universale?



Rare tracce di signori benpensanti e non creduti, traffichini grossi e astuti, ricchi, forti e incensurati.



Io considero la lotta contro la censura, di ogni natura e qualsiasi potere la sostenga, come un dovere dello scrittore allo stesso titolo degli appelli alla libertà di stampa. Io sono un feroce partigiano di questa libertà e dichiaro che uno scrittore che possa farne a meno somiglia ad un pesce che dichiara pubblicamente di poter fare a meno dell’acqua.



Sia quando fa sorridere, sia quando irrita, la satira politica, è uno stimolo per guardare dentro noi stessi e più in generale dentro quel che avviene nella società. […] In ogni caso, anche l’attacco ingeneroso e irriguardoso è meglio di qualsiasi tipo di censura. Dal primo ci si può difendere, dalla seconda no.



L’uomo: una scimmia che è scappata attraverso le maglie della censura.



La persecuzione all’editoria e la censura, che durerà fino a tutto il Settecento, ha lasciato segni profondi nell’inconscio nazionale: il libro come possibile portatore di male, oggetto con il quale non si ha confidenza, di casta e necessariamente fazioso.



Non è incredibile? Gente che lecca il culo a Berlusconi da dieci anni dà a me del fazioso! La satira non fa propaganda ad alcun partito, ma esprime un’opinione. Chi censura un autore satirico, censura le sue opinioni. Un tempo si chiamava fascismo.



In un paese in cui regni apertamente il dogma della sovranità del popolo la censura è non solo un pericolo ma anche una grande assurdità.



La Cina di oggi è migliorata rispetto all’89, e non solo per via dei grattacieli, delle automobili e di tutta la ricchezza in mostra nelle grandi città. Insieme al benessere materiale, molti godono di libertà che allora non esistevano. La libertà di viaggiare all’estero, per esempio. O di andare a fare le vacanze in Tibet, in pellegrinaggio fra i monasteri buddhisti. La libertà di avere un telefonino con cui chiamare anche i parenti che vivono a Hong Kong o a Taiwan, a San Francisco o a New York. La libertà di scrivere e-mail. Sono libertà personali, più che politiche. Non esiste ancora una stampa svincolata dalla censura, un’opposizione, né tantomeno il diritto di licenziare i propri governanti. I ventenni, trentenni e quarantenni del 2005 non sono generazioni così eroiche da voler sfidare la forza dello Stato e rischiare la vita per conquistarsi i diritti politici.



Sono a favore della censura: ti affina la creatività.



È una situazione grottesca. Cancellano il Decameron senza motivo, Giuliano Ferrara non ha subìto insulti e difatti non protesta, con la censura La 7 ha un danno di immagine e di sabato si priva del 4 per cento dell’ascolto e di due milioni e mezzo di contatti.



Non si può ingabbiare l’arte, non si può mettere sotto processo l’artista per quello che racconta. Perché non è lui che inventa la realtà che racconta, la realtà esiste. L’arte, anche quella più provocatoria, non deve essere censurata per paura che mostri dei lati spiacevoli, oscuri, anche sbagliati, del mondo, deve servire proprio come segnale di quello che non va.



Le vittime della censura non sono soltanto i personaggi imbavagliati per evitare che parlino. Sono anche, e soprattutto, milioni di cittadini che non possono più sentire la loro voce per evitare che sappiano.



Contro i sentimenti siamo disarmati, poiché esistono e basta ‐ e sfuggono a qualunque censura. Possiamo rimproverarci un gesto, una frase, ma non un sentimento: su di esso non abbiamo alcun potere.



Tutta la narrativa, a partire dai romanzi ammuffiti nelle biblioteche, è censurata dagli interessi della classe dominante. E soprattutto la letteratura giovanile, quella roba melodrammatica che quasi ogni ragazzo prima o poi divora, trasuda le peggiori illusioni del 1910. (da Le bugie settimanali per ragazzi)



Essere governato significa essere guardato a vista, ispezionato, spiato, diretto, legiferato, regolamentato, incasellato, indottrinato, catechizzato, controllato, stimato, valutato, censurato, comandato da parte di esseri che non hanno né il titolo, né la scienza, né la virtù.