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Per quanto disincantati siamo, ci è impossibile vivere senza alcuna speranza. Ne serbiamo sempre una, a nostra insaputa, e quella speranza inconscia compensa tutte le altre, esplicite, che abbiamo respinto o esaurito.
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È chiaro come il sole che Dio era una soluzione e che non ne troveremo mai una altrettanto soddisfacente.
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Dio si insedia nei vuoti dell’anima. Sbircia i deserti interiori, perché a somiglianza della malattia egli predilige occupare i punti di minor resistenza. Una creatura armoniosa non può credere in Lui.
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La timidezza, fonte inesauribile di disgrazie nella vita pratica, è la causa diretta, anzi unica, di ogni ricchezza interiore.
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Nella ricerca del tormento, nell’accanimento alla sofferenza, solo il geloso può competere con il martire. Eppure, si canonizza l’uno e si ridicolizza l’altro.
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Per smettere di tormentarsi, bisogna lasciarsi andare a un disinteresse profondo, smettere di preoccuparsi del quaggiù o del lassù, cadere nel menefreghismo dei morti.
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Ancor più che una reazione di difesa, la timidezza è una tecnica, indefinitamente perfezionata dalla megalomania degli incompresi.
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Soltanto nella misura in cui si sfida la morte a ogni istante, è dato intravedere su quale insania si fondi ogni esistenza.
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Quando discerniamo l'irrealtà in ogni cosa, diventiamo noi stessi irreali, cominciamo a sopravviverci, per quanto forte sia la nostra vitalità, per quanto imperiosi siano i nostri istinti. Ma non sono più che falsi istinti, e falsa vitalità.
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Il bisogno di gloria deriva da un senso di totale insicurezza circa il proprio valore, dalla mancanza di fiducia in se stessi.
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So perché sono triste, ma non saprei dire perché sono melanconico. Prolungandosi nel tempo senza mai raggiungere un’intensità particolare, gli stati melanconici cancellano dalla coscienza ogni motivo iniziale, presente invece nella tristezza.
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I dolori immaginari sono di gran lunga i più reali, dato che ne abbiamo un bisogno costante e li inventiamo perché non c’è modo di farne a meno.
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Beati quelli che ignorano che maturare è assistere all’aggravarsi delle proprie incoerenze e che questo è il solo progresso di cui dovrebbe essere permesso vantarsi.
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Non c’è forma di intolleranza, di intransigenza ideologica che non riveli il fondo bestiale dell’entusiasmo. Perda l’uomo la propria facoltà di indifferenza: diverrà virtualmente assassino; trasformi la sua idea in dio: le conseguenze saranno incalcolabili.
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Un pidocchio cosciente dovrebbe affrontare esattamente le stesse difficoltà, gli stessi insolubili problemi che ha l’uomo.
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Un’idea, un essere, qualsiasi cosa si incarni perde il suo volto, tende al grottesco. Frustrazione del compimento. Non evadere mai dal possibile, lasciarsi andare, da eterno velleitario, dimenticare di nascere.
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Il fallimento, sempre essenziale, ci svela a noi stessi, ci permette di vederci come ci vede Dio, mentre il successo ci allontana da quanto c’è di più intimo in noi e in tutto.
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Al culmine della disperazione, solo la passione dell’assurdo può rischiarare di una luce demoniaca il caos.
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